ANCHE LE PAURE SONO A TEMPO DETERMINATO


Si ritorna sempre a quello che si ama.
L’ho pensato appena ho visto l’enorme cerchio all’entrata della galleria nazionale d’arte moderna. Oggi ho deciso che avrei scritto da qui.


Mentre tutti si arroventano al mare rotolandosi nella sabbia io mi siedo su un divano di rosso velluto davanti a un Miró.

I cicli della vita mi si palesano in un ovaloide gigantesco in rame brunito.
L’anno scorso partivo per le vacanze con Francesco e Ludovica, direzione Forte dei Marmi e poi tour estivo all’insegna del “andiamodovecavolocipare”.
L’anno dopo, stesso giorno, sono a Roma, da solo. Faccio fatica a partire.
Mi sento osservato da almeno quindici personaggi vestiti di antico gusto, sembra che sia io l’opera da guardare, esposta al loro giudizio e loro giudici implacabili. Sono tutti piuttosto accigliati, sguardi severi. E non mi sento certo un’opera d’arte completa, casomai un bozzetto, un’idea. Mi impongono una riflessione.
Odio tirare le somme. Non lo farò nemmeno in punto di morte.
Però questo è stato un anno bello tosto. Lo capisco senza bisogno del ricordo, lo sento nel corpo.
Credo che sia un anno difficile per tutti.
Là fuori, lontano da questi Van Gogh e dall’unico Klimt presente in Italia, è davvero un casino.
Forse la fine dei Maya sta davvero arrivando. Credo profondamente che sia così.
Non credo a una fine del mondo, ma del mondo per come lo conosciamo noi.
La fine di un relazionarsi in modo superficiale, di un giudizio inutile, di rapporti falsati dai bisogni. La crisi economica credo sia solo la proiezione della crisi dell’essere umano.
Credo che sopravviveranno solo le cose di qualità.
Le imprese che producono qualità, bellezza autentica, concretamente ancorate a un’idea sostenibile, un’etica onesta.
E credo che sopravviveranno solo quelle persone che apriranno il proprio cuore agli altri.
A chi vede negli altri la sua felicità.
Perché la soluzione sono gli altri, ne ho la certezza. Concentrarsi sui bisogni di chi ci sta accanto, darsi senza chiedere nulla indietro, addormentando il nostro ego.
E lo dico io, che ho un ego che fa provincia.
Ci sto lavorando su però, lo faccio un po’ ogni giorno.
Non so se sopravviverò. Ho avuto mesi di grande crescita, profonda scoperta. Poi a un tratto mi sono fermato. L’ho percepito subito.
Quando tu ti fermi tutto quello che ti capita attorno si ferma con te.
Mi sembra che il mondo esterno sia solo il riflesso di quello che si muove dentro, perfettamente coordinati.
Mentre venivo in macchina alla radio un tizio parlava di universi paralleli, di realtà coesistenti allo stesso momento. Noi viviamo simultaneamente molte vite, decidendo ogni giorno, ogni secondo a quale appartenere.
Credo a questa teoria. Credo a un sacco di minchiate probabilmente, ma ce ne sono alcune che mi sembrano inequivocabilmente vere.
Ora che ci penso sono finito qui per ripartire.
Praticamente solo nella bellezza, sostenuto dall’arte. Da questi quadri che non sono altro che vite raccontate, esperienze traumatiche o meravigliose sciolte in cromatismi a olio.
Qui non sono solo.
Qui vedo che si può fare. A volte basta rendersi conto di questo.
Che l’uomo è fatto per il bello, che il bello degli altri ci appartiene.
E che siamo qui su questa terra per creare altro bello.
E il bello nasce spesso dalle privazioni, dal dolore, dalla fatica.
Identifico le grandi persone non tanto dai loro successi, ma da come affrontano gli insuccessi.
Da come rispondono alla sconfitta, da come si rialzano, da come lottano.
Da quanto trasformano quel dolore, quell’umiliazione, quello sbaglio nel “bello” da offrire al mondo.
Come quel corridore che stanno massacrando in tv, dopo che ha ammesso di essersi dopato.
Ora sta a te Schwarz. Da come affronterai questa situazione si capirà se sei davvero un campione. E se riuscirai a trasformare l’errore in bellezza vincerai la vera maratona della tua vita, l’oro più prezioso della tua carriera di uomo.
La caduta, lo sbaglio, l’errore possono essere il nostro nuovo punto di partenza.
Nell’alfabeto cinese le parole “crisi” e “opportunità” si scrivono con lo stesso ideogramma.
Mi sorprende sempre vedere l’accanimento di alcune persone sui fallimenti di altri.
Credo sia solo la paura che prima o poi quel fallimento sarà nostro.
E lo sarà.
Tutti pronti a gridare dagli spalti mentre i gladiatori e le bestie lottano per la sopravvivenza.
Evidentemente pensiamo che se esaltiamo il capitombolo di un altro potremo evitare il nostro.
Se uno cade pensiamo a come aiutarlo a rialzarsi invece. Perché quando cadremo, ci sarà qualcuno per noi.
Ok, ora se vi va datemi del buonista, del resto lo sono. E continuo a pensarla così.
È ora di andarmene, stanno chiudendo il museo, sono qui da ore.
Dó l’ultimo sguardo al quadro che ho di fronte “le corse al Bois de Boulogne” di De Nittis. Oggi davanti a queste donne che guardano le corse punto su di me.

Su quella persona che saró dal momento che uscirò da questa biblioteca di vite umane, su quell nuovo me che varcherà quelle colonne bianche.  Su quel cavallo che nel quadro non c’è, ma che nella sua assenza ancor più mi rappresenta, cercando di correre più veloce che posso. Ho paura.
Ma anche le paure sono a tempo determinato.
Perché il cambiamento è adesso. Su questo divano di rosso velluto chiudo un cerchio.
E ne riapro un altro.
("ANCHE LE PAURE SONO A TEMPO DETERMINATO" di PAOLO STELLA http://paolostella.wordpress.com/)